Commento al Vangelo della XXVI domenica T.O. – anno C –

Le piccole cose

In questa parabola, in cui uno dei protagonisti è un ricco epulone, ovvero un ricco mangione, notiamo all’istante che egli è anonimo; è un personaggio senza nome, ovvero senza sostanza e senza personalità. Al contrario, il povero Lazzaro ha un nome proprio, e anche se agli occhi degli uomini è nessuno, e viene abbandonato, Dio lo riconosce e non si dimentica di lui, nemmeno dopo la morte. Infatti dopo la morte il povero Lazzaro si trova alla destra di Abramo, nel suo seno, spalla a spalla con lui, mentre il ricco mangione, che non si era mai accorto di Lazzaro durante la sua vita agiata, giace all’inferno, tra i tormenti. Solo qui, in una situazione di dolore e di bisogno, egli nota Lazzaro, e subito chiede di avere una goccia d’acqua per bagnarsi la lingua, lui che aveva negato al povero alcune briciole di pane. È interessante come Gesù scelga dei particolari così minuti per parlare di salvezza: “poche briciole di pane e una goccia d’acqua”. Il Signore sembra dirci che la nostra salvezza, la nostra vita eterna, si giochi sulle piccole cose, sulle situazioni elementari nelle relazioni della nostra vita: la capacità di accorgersi dell’altro e di andare incontro all’altro. Il ricco epulone di fatto ha pensato sempre e solo a se stesso, vivendo in modo spensierato, senza pensiero, senza sapienza, e con una condotta che ha mandato in rovina lui e tutta la sua famiglia. Il ricco senza nome, solo nel momento del pericolo, vuole sfruttare il povero Lazzaro, non per via di una immediata conversione, ma perché, intuita la gravità della situazione, compreso che non c’è più nulla da fare per lui, pensa ai suoi fratelli, cinque ricchi come lui, che non credono alla sapiente pedagogia della Bibbia e non si occupano dell’umanità delle persone, cosa che al contrario Dio fa. Il racconto di questa domenica ci mette in guardia dicendoci: “Pensaci finché sei in tempo”. E a questo proposito la rivelazione di Dio, l’avvento di Gesù Cristo tra noi, con il suo Vangelo, ci offre la sapienza necessaria per evitare l’idolatria e la chiusura verso il prossimo, aprendoci alla realtà più grande del dono di sé.

don Christian

FACCIAMOCI FURBI!!!

Il brano di Vangelo di questa domenica risulta “composto” di una parabola di Gesù e di alcune parole radunate da Luca a modo di applicazione sviluppando il tema dell’uso cristiano della ricchezza. Il punto centrale della parabola del fattore disonesto e astuto è espressa nella conclusione della parabola stessa: «I figli di questo modo sono scaltri più dei figli della luce». Il tratto essenziale è l’accortezza dell’amministratore, la sua pronta decisione e la sua lungimiranza. A Gesù non interessa il modo preciso con cui il fattore ha risolto il suo problema, bensì la risolutezza con la quale ha cercato di mettere al sicuro il proprio futuro. Gesù vorrebbe che i discepoli, a proposito del Regno, avessero la stessa risolutezza che il fattore ebbe per sé. Il fattore fu astuto nel conservare se stesso, il discepolo sia altrettanto astuto nello spendersi per il Regno. Luca attualizza la parabola applicandola a un caso concreto: l’uso delle ricchezze. Luca chiama «disonesta» la ricchezza Perché disonesta? disonesta non soltanto perché a volte ingiusta nella sua origine e nel suo uso, ma perché ingannevole nel suo profondo: promette e non mantiene, invita l’uomo a porre in essa la propria fiducia e poi lo delude. buona giornata, don Michele

PORTARE FRUTTO!!!

Essere una terra buona! Questa parabola del seme colpisce perché è esigente. Certo, noi dobbiamo chiederci in quale tipo di terra ci poniamo. Ma non è qui che troveremo il dinamismo necessario per divenire terra buona in cui la parola produrrà cento frutti da un solo seme. Piuttosto guardiamo, ammiriamo e contempliamo la volontà di Dio, che vuole seminare i nostri cuori. La semente è abbondante: “Il seminatore uscì a seminare la sua semente”. Il Figlio di Dio è uscito, è venuto in mezzo agli uomini per questo, per effondere la vita di Dio e per seminare in abbondanza. Sapersi oggetto della sollecitudine di Dio, che vede la nostra vita come un campo da fecondare. Il nostro Dio è un Dio esigente perché è un Dio generoso. E la sua generosità arriva ancora più in là. Dio è il solo a poter preparare il campo del nostro cuore perché sia pronto ad accogliere la sua parola. Certo, dobbiamo essere vigili per evitare le trappole del tentatore, per eliminare le pietre e le spine, ma solo la nostra fiducia, il nostro rivolgerci fiduciosi a Dio dal quale deriva ogni bene, ce lo permetterà. Dio vuole fecondare la nostra vita. Possa egli preparare anche il nostro cuore. Buona giornata, don Michele

Accogliamo oggi con gioia don Christian, nostro nuovo parroco, perché possa sempre seminare nelle nostre vite la Parola del Signore e ci aiuti a portare sempre frutto. Benvenuto!!!

LE DONNE E GESU’

Un versetto appena, uscito dalla penna di Luca, che descrive un elemento della vita della prima comunità e che, se letto bene, dovrebbe farci saltare sulla sedia. Sì perché, nel gruppo dei discepoli, c’erano delle discepole. E non donne di servizio ma, fra di esse, anche persone di rango. E che non facevano le perpetue stirando le camicie degli apostoli, ma collaboravano attivamente all’opera di annuncio del Signore, usufruendo anche del proprio patrimonio economico personale. Sappiamo che, al tempo di Gesù, la donna nella civiltà ebraica era poco più di un’appendice del maschio, senza vera identità, senza diritti, in tutto soggetta alle decisioni del marito o del padre. Non poteva uscire da sola, né parlare in pubblico, né pregare insieme agli uomini. Una condizione di servilismo assoluto e di subalternità senza vie di scampo. Invece veniamo a sapere che Gesù aveva realizzato le pari opportunità e senza troppi problemi ma con tantissimo scandalo. Gesù “rompe” gli schemi, per lui uomo e donna sono uguali, ugualmente importanti e ugualmenti degni di essere discepoli… il Signore Gesù ha tanto da insegnare anche ai nostri giorni… buona giornata, don Michele

LA VERA COMPASSIONE

La festa di oggi ci dà una lezione di compassione vera e profonda. Maria soffre per Gesù, ma soffre anche con lui e la passione di Cristo è partecipazione a tutto il dolore dell’uomo.
La liturgia ci fa leggere nella lettera agli Ebrei i sentimenti del Signore nella sua passione: “Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte”. La passione di Gesù si è impressa nel cuore della madre, queste forti grida e lacrime l’hanno fatta soffrire, il desiderio che egli fosse salvato da morte doveva essere in lei ancora più forte che non in Gesù, perché una madre desidera più del figlio che egli sia salvo. Ma nello stesso tempo Maria si è unita alla pietà di Gesù, è stata come lui sottomessa alla volontà del Padre. Per questo la compassione di Maria è vera: perché ha veramente preso su di sé il dolore del Figlio ed ha accettato con lui la volontà del Padre, in una obbedienza che dà la vera vittoria sulla sofferenza. Chiediamo alla Madonna che unisca in noi questi due sentimenti che formano la compassione vera: il desiderio che coloro che soffrono riportino vittoria sulla loro sofferenza e ne siano liberati e insieme una sottomissione profonda alla volontà di Dio, che è sempre volontà di amore. Buona giornata, don Michele