PRENDERE IL PROPRIO POSTO

La liturgia di oggi, nonostante le apparenze, non parla tanto di noi, quanto del Signore Gesù! Il versetto che introduce il brano del Vangelo è di somma importanza per comprendere il resto. Siamo in giorno di «sabato» e il Signore Gesù viene invitato a pranzo in casa di un fariseo e tutti stanno a osservarlo. La consuetudine voleva che ciascuno occupasse il suo posto in considerazione del proprio e dell’altrui rango. Ecco perché tutti stanno a osservare – come già in altre occasioni e in particolare in giorno di sabato – quale sarà il posto che il Signore andrà a occupare… così da desumere quale posto voglia occupare e così quale sia l’autocoscienza riguardo alla propria identità e alla propria missione. Per gli astanti è di certo assai difficile comprendere che la coscienza chiara di essere «mediatore dell’alleanza nuova» (Eb 12,24) non ha nulla a che fare con la ricerca affannosa – e talora così patetica – di un posto d’onore che umili gli altri. Al contrario delle aspettative e delle consuetudini, il Signore Gesù sembra restare in piedi e manifestare chiaramente di non voler occupare nessun posto! Ancora una volta, attraverso una parabola, il Maestro svela e smaschera quello che forse i suoi co-invitati si aspettano e temono: scegliere un posto troppo onorevole per doverlo vergognosamente cedere a un altro, oppure fare di tutto per essere preferiti e onorati davanti a tutti… cosa che però non è assolutamente così certa. Inoltre, il Signore Gesù si rivolge direttamente a colui che lo ha invitato e, indirettamente, lo ringrazia per averlo onorato di essere suo commensale e suo ospite, proprio perché lo ha ritenuto alla pari degli «storpi, ciechi, zoppi…» (Lc 14,13) i quali non possono ricambiare. Quello è il posto di Gesù: tra quelli che non possono ricambiare! L’unica volta che il Signore invita a cena qualcuno è per dire che la sua vita è tradita e offerta come una burla. Sì, oggi Gesù non parla di noi, parla di se stesso e sembra dire a ogni uomo e donna: «prego, dopo di lei…»! …buona domenica, don Michele

IN ATTESA DELLO SPOSO

Ieri il Signore ci invitava a vegliare. Oggi ce ne spiega la ragione. La comunità cui Matteo si rivolge, la sua, è composta prevalentemente da ebrei rimasti travolti dalla distruzione di Gerusalemme e del tempio. Un evento talmente drammatico da avere gettato nello sconforto anche la comunità cristiana. E Matteo li incoraggia riprendendo le parole del Signore Gesù e li invita a vegliare come le amiche della sposa attendono lo sposo che viene nel cuore della notte. Anche per noi lo sposo tornerà! È venuto nella storia, non fa mancare la sua presenza nella nostra vita di ogni giorno grazie al Suo Spirito ma verrà poi nella gloria per ricapitolare tutte le cose, come dice san Paolo. Tornerà e noi siamo chiamati a vegliare, a vigilare, ad aspettarlo con fiducia. Proviamo a chiederci sinceramente: io ci credo  a questo ritorno? Aspetto davvero il ritorno glorioso del Signore nella pienezza dei tempi? I discepoli e quindi noi siamo chiamati a fare dell’attesa una delle nostre caratteristiche principali. Ma un’attesa operosa, che veglia, che agisce. Che sa mettere da parte ogni giorno un po’ di olio per essere pronti al ritorno dello sposo. Il rischio di assopirsi però è sempre presente, vegliamo allora nella gioia operosa aspettando il ritorno dello sposo…buona giornata, don Michele

LA PREGHIERA CI RENDE VIGILI

Ancora una volta il Vangelo si conclude con un riferimento agli «ipocriti» vale a dire coloro che dicono a parole di attendere qualcuno o qualcosa e, in realtà, sperano che nessuno arrivi e niente accada, per poter continuare a vivere secondo il loro comodo e la loro stoltezza. Non sempre è così per fortuna, tant’è che nella parabola troviamo parole di elogio: «Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» ma purtroppo non è sempre così! La tentazione, infatti, “lavora” sul nostro cuore quando ci sentiamo talmente liberi da dimenticarne l’origine, fino a lasciarci andare a una dimenticanza che mette noi stessi e il nostro comodo al centro della nostra attenzione: «Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo…». Ecco allora il richiamo alla vigilanza: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. ». Vigilare significa questo: non permettere che il cuore si impigrisca e che la vita spirituale si ammorbidisca nella mediocrità. E per tener desto il nostro cuore abbiamo la preghiera che ci aiuta a non cadere nella tentazione. Specialmente quando sentiamo che l’entusiasmo si raffredda, la preghiera lo riaccende, perché ci riporta a Dio, al centro delle cose. La preghiera risveglia l’anima dal sonno e la focalizza su quello che conta… buona giornata, don Michele

BARTOLOMEO… UN UOMO SENZA FALSITA’

Gesù riconosce a San Bartolomeo (il Natanaele di cui leggiamo nel Vangelo) di cui oggi celebriamo la festa liturgica il fatto di essere un uomo autentico, limpido, che non ha paura di esporsi e di dire la propria: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Ma perché Gesù arriva a dire questo di Bartolomeo? Perché Gesù riconosce una persona che dice quello che pensa, senza troppi giri di parole «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?», nel momento in cui Filippo lo ha invita a conoscerlo! Ha ripetuto quanto aveva imparato dalla Scrittura… Tuttavia però non si è sottratto all’incontro e al confronto! Bartolomeo aveva un pregiudizio su Gesù ma si è messo in gioco! Oggi Bartolomeo ci insegna che pur avendo naturalmente dei “pre-giudizi” sulle cose, sulle persone non dobbiamo però intestardirci dentro una posizione senza avere il coraggio di porci schiettamente in dialogo sostenendo il confronto con verità e intelligenza! Il rischio che troppe volte incorriamo è quello di arroccarci sulle nostre posizioni e non essere capaci di metterle in discussione con intelligenza, che non vuol dire allora cedere a tutte le posizioni che ci vengono proposte ma essere capaci di dialogare e essere aperti a mettere in discussione il nostro giudizio per arrivare alla Verità «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!»… buona giornata, don Michele

PURIFICARE IL CUORE

Nella polemica con gli scribi e i farisei, il Signore Gesù pone l’accento non tanto sull’incoerenza o sulla debolezza morale dei suoi interlocutori, ma sull’evidente frattura presente nel loro modo di porsi agli occhi della gente e davanti a se stessi: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumino e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà». Viene così smascherata la malattia profonda che può affliggere la vita dei credenti: una religiosità sterile, in cui mentre si cerca di rimanere fedeli ai precetti meno impegnativi ma formalmente legati al culto di Dio, ci si prende la libertà di tralasciare i compiti più esigenti che il Vangelo ci indica, soprattutto nei riguardi degli altri. L’ipocrisia è l’atteggiamento che assumiamo quando mettiamo al centro noi stessi da non riuscire più a sentire e a percepire la presenza degli altri. Un cuore ipocrita si rinchiude in una vita schiava dell’esteriorità, in cui si spendono tante energie e risorse per mantenere pulito «l’esterno del bicchiere e del piatto». Il Signore ci invita a convertire, purificare, sempre più il nostro cuore a Lui e al suo amore per riuscire a far trasparire sempre il suo amore…buona giornata, don Michele