Come vuoi che ti chiamiamo? (Lc 16,9-15)

Nel vangelo di oggi, che prosegue quello ascoltato ieri, poniamo l’accento sulla frase riassuntiva «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». Ciò che è interessante non riguarda solamente il fatto dell’essere indivisi, cioè di scegliere da che parte stare, con Dio o con il denaro, ma che sia necessario avere un padrone.

La novità di questa lettura è che a qualcuno bisogna sottomettersi, da qualcuno occorre lasciarsi espropriare, è necessario avere almeno un padrone, e non possiamo in alcun modo riporre tutte le nostre speranze in noi stessi. È interessante perché facendo il pari con il pensiero odierno dell’uomo su sé stesso, incontriamo una mentalità che è esattamente l’opposto.

Ciò che ci viene proposto oggi dalla mentalità corrente è proprio di confidare solo in noi stessi e di non dipendere da nessuno, ma si dimentica, e il racconto di Luca ce lo ricorda, che puntare su di sé non è la scelta migliore, perché c’è Qualcuno che conosce i nostri cuori meglio di noi stessi. C’è Qualcuno che è in grado di dare una direzione alla nostra vita che è quella per cui siamo stati pensati: quella per cui siamo stati creati. Peccato che uno dei grossi problemi che l’uomo di oggi sente, stia proprio qui: il rifiuto di venire da altri, l’impossibilità di farsi da sé.

Chiudo con un fatto che mi è accaduto. Ero in fila, in un supermercato, per un cambio merce che avevo sbagliato a prendere, e il nome del mio biglietto, quello che determina il tuo turno, non era il solito A26, B76, N4, insomma quelli che trovi alle poste o all’ASL, ma era “Christian”, perché per prenderlo ho dovuto rispondere alla domanda: “Come vuoi che ti chiamiamo?”. Domanda interessante, posta bene.

Imparare da chi si disprezza (Lc 16,1-8)

Perché sceglie un disonesto per trasmetterci una buona notizia? Per trasmetterci il vangelo? Perché quest’uomo, al di là della disonestà, che a ben vedere non viene lodata, insegna ad avere una considerazione alta della Salvezza eterna, ne indica una strada percorribile… da tutti, istruisce e ci istruisce sulla virtù della prudenza.

L’amministratore disonesto ha una considerazione alta della Salvezza eterna, cioè di quella possibilità per la quale ci troveremo lì, salvati, di fronte a Dio, con tutta la nostra vita, la nostra storia, con tutte le nostre fragilità e le fatiche; ci troveremo lì, così come siamo, nella Verità. L’amministratore ha una considerazione alta di quel momento lì.

E l’atteggiamento di quest’uomo è simbolico ed è propedeutico a comprendere qualcosa di più di una vita che è più ampia di quella che vediamo noi con i nostri occhi, poiché questa vita è già prima e sarà anche dopo la vita terrena.

Infatti, l’amministratore per parlarci delle realtà future e della Salvezza, usa una simbolica, e si preoccupa – oltre che del vissuto presente – anche e soprattutto del “dopo”, della “fine”, dell’”eternità”. Quest’uomo non punta solo all’immediato, per riempirsi la pancia, come spesso facciamo noi, ma guarda soprattutto alla resa dei conti, perché sa che alla fine rimarrà per strada, e lì, in strada, povero e bisognoso – come ogni uomo che si stacca da Dio – verrà giudicato.

E allora fa qualcosa, si muove, si dà da fare e cerca di guadagnarsi la Salvezza, che poi è soprattutto dono di Grazia divina, e lo fa come può. Lui lo fa con la ricchezza disonesta ed è per questo che viene lodato.

La ricchezza disonesta è infatti il disprezzo del possesso, di ogni forma di possesso, anche quello onestamente guadagnato. La ricchezza disonesta è quel sano distacco dall’eccessiva fiducia nei beni di questo mondo. La ricchezza disonesta è quell’atteggiamento che ci dice che in fondo la Salvezza vale più di ogni cosa. Buona giornata.

La nostra felicità è seguire il Signore (Lc 15,1-10)

Il punto centrale del racconto di oggi è certamente la conversione, e in particolare la conversione a Cristo. Il termine conversione, che in greco si scrive metànoia, significa letteralmente cambiamento di mente, ovvero cambiamento di pensiero, cioè di mentalità. Una bella immagine che solitamente viene utilizzata per descrivere la conversione è il cambiamento dello sguardo (sulla vita: per sé e verso gli altri), ovvero la capacità di cambiare direzione, il prendere fondamentalmente un’altra strada nel proprio quotidiano.

Oggi Gesù ci indica la strada ed è contento per noi se riusciamo ad imboccarla. Nel racconto, infatti, quando il Signore parla di pecore smarrite o di monete perdute, non ferma la sua attenzione sul peccato, cioè sul motivo dello smarrimento della pecorella, ma sul fatto che quella pecorella venga continuamente cercata da Dio, affinché, una volta incrociato il Suo sguardo, e questo è simbolizzato dal “ritrovamento”, possa camminare su una via di salvezza, lontana dallo smarrimento e dai pericoli.

Il Signore non punta il dito sul nostro peccato, ma preme per farci cambiare vita, per seguire Lui, che è la vita ed è la nostra felicità. E insieme a questo ci mostra che Dio non si stanca mai di venirci incontro e chiede a noi di fare lo stesso con gli altri, in una vita di evangelizzazione e testimonianza, senza paura di non esserne all’altezza. Buona giornata a tutti 😊

Una preghiera: segno di relazione tra vivi e defunti

Fin dai primi secoli, la Chiesa – valorizzando un sentimento diffuso nella cultura antica (pietas) e radicato nella natura umana – ha coltivato la memoria orante dei fedeli defunti, illuminandola con la fede in Cristo, morto e risorto, primogenito di quelli che risorgono dai morti (Col1, 18). Unito alla sua morte nel Battesimo, ogni fedele inizia a camminare con lui in una vita nuova (cf. Rm 6, 3-4); di conseguenza, anche il legame tra quanti sono ancora pellegrini sulla terra e coloro che già sono passati da questa vita è fondato sulla comunione nella stessa carità di Dio e del prossimo (Lumen gentium, 49). La pratica di dedicare un giorno alla preghiera per tutti i defunti nacque nei monasteri, dov’è attestata fin dal secolo VII. La sua diffusione venne ulteriormente favorita dall’abbazia francese di Cluny e dai moltissimi monasteri da essa fondati in tutta Europa, che collocarono tale commemorazione al 2 novembre, con un significativo legame alla solennità di Tutti Santi.

La santità è per tutti

In questa ricorrenza la Chiesa intende celebrare Dio per tutti Santi, anche per quelli che non sono stati ufficialmente riconosciuti tali, i quali formano una moltitudine immensa […] di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che sta davanti al trono e davanti all’Agnello (Ap 7,9).

Inoltre, tutti i battezzati sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi (Lumen gentium, 40). La celebrazione è dunque memoria riconoscente della santità della Chiesa, quale continuamente si manifesta nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli […] in varie forme (Lumen gentium, 39). Già dal secolo IV in Oriente si veneravano, con un’unica celebrazione, tutti i Santi, mentre in Occidente fu papa Gregorio IV (827-844) a istituire tale festa per il primo giorno di novembre e a diffonderla da Roma in tutta Europa.

In questo incipit del messale romano terza edizione è sottolineato il fatto che tutti i battezzati sono realmente santi. Il concilio vaticano II ci ricorda che il germe di santità che viene innestato nel battesimo, è quella condizione per cui ciascun battezzato ha la possibilità, nella vita, di far crescere e portare a maturazione la scelta di mettersi al servizio del Signore in tutto e per tutto. Questa è santità.

Buona festa di Ognissanti.