Oggi, XXXIV domenica del tempo ordinario, nonché ultima domenica dell’anno liturgico, la comunità e la Chiesa intera festeggiano la solennità di “nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo” e, in questa ricorrenza, la liturgia ci fa rivivere – nel Vangelo – un momento cruciale del passaggio di Cristo al Padre: quello in cui nostro Signore viene appeso alla croce, che era strumento di derisione, di sofferenza e di morte.
Gesù è lì sulla croce e tutto il popolo, in una scena che fa salire la suspense, lo sta a vedere. Il popolo non fa nulla, se non guardare. Questa passività, data certamente dall’impossibilità di intervenire durante un’esecuzione condotta dai soldati dell’Impero Romano, era probabilmente anche figlia di un desiderio che albergava, in quel momento, nel cuore di tutti: vedere la Salvezza di Dio, mediante la morte di Cristo. E questa Salvezza, che nel momento della crocifissione di Gesù non sembra apparire, poiché questo strumento di morte era un destino comune a molti, è invece presente proprio da questo frangente della vita del Signore, perché sulla croce Gesù mostra fino in fondo “chi” è, e qual è il Suo stile di vita.
Cristo in croce è il Re dell’universo, un Re con una corona ed un trono diversi, e un capo apparentemente impotente che tiene in mano uno scettro, che è il bastone dello scherno. Poi è Re dell’universo: di quell’universo interiore che è la nostra coscienza e – in quanto creatore – di tutto il creato che è fuori di noi e ci circonda. È uno che domina attraverso l’ubbidienza al Padre, e dentro questo stile di sottomissione, non ha paura nemmeno della morte, perché è certo della Verità di cui è portatore: che Dio Padre ci salva.
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