Un tratto caratteristico dello stile di Giovanni è la predominanza delle parole che esprimono un’azione sulle nozioni astratte. Ciò vale tanto per i gesti e i doni di Dio verso l’uomo quanto per la risposta dell’uomo nei confronti di Dio.

Quando si parla della risposta umana, Giovanni non si serve mai di parole astratte come «fede», «conoscenza», «visione», «contemplazione»; la parola «amore» (αγάπη) non ricorre che sette volte. La risposta dell’uomo all’iniziativa salvifica di Dio è quasi sempre espressa da verbi come «riconoscere», «vedere», «accogliere», «venire», «seguire», «credere», «conservare», «conoscere», «amare», «dimorare», ecc. Questo tratto di stile rivela un orientamento. Giovanni non è uno speculativo. Il suo linguaggio è quello del contemplativo che si sforza di esprimere il fatto concreto della rivelazione, vale a dire della venuta di Dio verso l’uomo in Gesù Cristo, e di orientare gli uomini verso una comunione sempre più vera al «dono divino». Profondamente teologo per la rigorosa unità di visione e per la potenza della sua «concentrazione cristologica», Giovanni non costruisce tuttavia un sistema. Raccogliendo una selezione di parole, di immagini e di «segni», in cui traspaia la «gloria» del Verbo incarnato a lungo contemplato (1, 14), egli cerca di comunicare una fede. Egli «testimonia» una realtà, un fatto d’esperienza spirituale: «Perché anche voi crediate»; e attraverso la fede vuole condurre alla luce e alla vita. Come la Bibbia, la sua opera è dominata dal divino Io sono, che ora, incarnato nel Cristo, si svela non per definire astrattamente, ma per coinvolgere e salvare.