Nel racconto di oggi ci troviamo di fronte ad una situazione che era abbastanza comune ai tempi di Gesù: un uomo, alla periferia di un villaggio, che ha di fronte a sé alcuni malati di lebbra.

C’è una grande simbologia dietro a questa scena e quasi ogni singola parola ha un significato molto profondo. Il luogo dell’incontro, la periferia (era all’ingresso del villaggio e non in piazza), già sottolinea la distanza che gli abitanti di quel villaggio volevano mantenere dai malati, cacciandoli via: in fondo gli abitanti non volevano ammalarsi a loro volta nel corpo, per non morire (a qualcuno viene in mente qualcosa? … ). Questo lo sapevano anche i lebbrosi, che ben istruiti dalla disgrazia della loro condizione, si tenevano a loro volta distanti da chi si avvicinava; e così fanno anche con Gesù: lo vedono, gli vanno incontro, si tengono a distanza e parlano a Lui ad alta voce, per far sentire la loro richiesta. «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». E Gesù, avendo pietà di loro, ne testa subito la fede, chiedendogli di eseguire il comando che la legge imponeva a chi guarisce dalla lebbra, ovvero il recarsi da un sacerdote per attestare la guarigione. Gesù segue la legge e sta ad osservare chi si fida di Lui e ancora di più, chi porta a compimento il processo della fede, cioè il ringraziare Dio per le Sue meraviglie.

Infatti Gesù osserva che dei dieci che erano malati e che in seguito ad un Suo comando sono guariti, soltanto uno, straniero per lo più, è tornato a ringraziare; soltanto uno ha completato quel circolo virtuoso che la vera fede ci fa vivere.

A questo punto Gesù, dopo che il guarito si prostra e ringrazia Dio, lo congeda dicendogli: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato». Ma come: non ne erano stati salvati dieci? Si ma dalla malattia del corpo. La Salvezza che Gesù promette è un’altra ed è molto più profonda; la Salvezza vera, che viene dalla vera fede, è riconoscere di essere dei salvati. È riconoscere che a salvarci è un altro, poiché da soli non possiamo fare nulla.

Buona domenica!