«Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto». Si parla di vocazione, di passaggio di testimone fra un profeta e un altro. Elia, per Israele, è il profeta per eccellenza: molte volte Gesù lo cita e lo riconosce pure presente in Giovanni Battista. Eliseo non pare un illuminato… tutt’altro! È un figlio di papà, svogliato, annoiato, indeciso. Eppure, Dio lo ha scelto: la chiamata da parte di Elia suscita il suo entusiasmo, la sua disponibilità a mettersi in gioco e diventa una sorprendente icona della potenza di Dio.
È Dio che conduce la storia! È Lui che mette nel cuore di uomini poveri la sua Grazia e li fa essere significativi per il mondo! I nostri occhi si fermano alle apparenze… rischiamo di giudicare per sentito dire, per simpatia, per pregiudizio… Chiunque è chiamato a parlare a nome di Dio va accolto e ascoltato come segno di contraddizione e sprone alla conversione e al cambiamento.
Si corre sempre il rischio di essere come quei Samaritani che non vogliono accogliere Gesù perché è diretto decisamente verso Gerusalemme, ossia verso l’offerta della sua vita… Se vogliamo essere discepoli di Gesù non stabiliamo noi dove andare e con chi andare: seguiamo Gesù attraverso l’ordinarietà del cammino liturgico che ci fa passare da Natale a Pasqua e rivivere ogni anno la serietà e l’impegnatività della sequela.
La Parola di questa domenica cade a pennello nel giorno nel quale ci salutiamo ufficialmente: la vocazione sacerdotale – che è poi una vocazione cristiana – ha l’esigenza della perentorietà e della radicalità dell’obbedienza… quando Gesù chiama non si possono accampare scuse… non si possono giustificare tentennamenti… o ci si fida o si fa di testa propria… Ho scelto di fidarmi!
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