Provate a dire a un povero, o un affamato o un afflitto “Beato te”! Che cosa vi risponderà? Probabilmente vi insulterà e vi inviterà a prender il suo posto per sperimentare quale beatitudine… Eppure, oggi, ascoltiamo proprio il Vangelo delle beatitudini nel quale Gesù pronuncia esattamente queste parole.
C’è un dato, però, che non ci deve assolutamente sfuggire: a chi si rivolge Gesù? Non alla folla, non agli scribi o ai farisei, ma ai suoi discepoli. Solo così tutto è comprensibile! «Beati voi, poveri… Beati voi, che ora avete fame… Beati voi, che ora piangete…»: è questo “voi” che fa la differenza!
Non è la povertà la beatitudine ma la compagnia di Gesù! Chi ha la grazia di vivere una condizione di prova ma ha nel cuore la consapevolezza della presenza del Signore riesce a scorgere ciò che è positivo nonostante tutto. Come dice Geremia: «È come un albero piantato lungo un corso d’acqua… nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti».
Se uno ha fede, se uno ha incontrato il Signore, lo si capisce perfettamente proprio nel momento della difficoltà: non butta all’aria tutto, non si dispera, non si scandalizza, ma sa attendere l’opera di Dio che a tempo debito rivela il senso anche di quel passaggio doloroso: «È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo».
In questi due anni di pandemia ho avuto modo di osservare come il dolore e la sofferenza abbiano fatto magistralmente da setaccio facendo emergere quello che c’era nel cuore di tante persone: da una parte il panico, la paura, la desolazione, la chiusura e dall’altro la pace, la serenità, l’attesa paziente…
Il “beato” secondo il Vangelo non è quello a cui la vita va sempre a gonfie vele ma chi nella prova sa di essere vivo grazie a Cristo! La morte non ha potere… ognuno si guardi dentro.