L’istinto di sopravvivenza ci porta a censurare il pensiero della fine, come se fossimo eterni, indistruttibili, incorruttibili… Nella modernità, poi, il pensiero della morte è proprio messo a margine con la strategia della sovra esposizione: la morte è sbattuta in faccia, quasi come uno spettacolo, una fiction, per poi essere banalizzata e fatta passare come una semplice comparsa.

Il pensiero della fine deve ritornare ad essere il caso serio della vita! La consapevolezza che non siamo eterni aggiusta non poco la prospettiva: per che cosa ci muoviamo, ci affatichiamo, ci sbattiamo? È tutto così necessario? La cura per un puro miglioramento della qualità materiale della vita è sufficiente? Perché sul nostro destino investiamo così poche risorse di idee e di tempo?

Nel Libro del profeta Daniele oggi leggiamo: «Quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna». Non è il caso di prendere in considerazione la possibilità che la vita possa essere vissuta come una colossale corsa al fallimento? Mi fa sempre specie quando si parla del destino delle persone care defunte in un’ottica scontatamente gloriosa… La possibilità di un fallimento è ancora contemplata?

«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno», dice il Signore. Umanamene constatiamo la corruzione delle cose e del corpo ma la Parola di Dio garantisce che c’è qualcosa che rimane! C’è un detto che sostiene che prima o poi tutti i nodi arrivano al pettine: la vita materiale scende nella tomba e passa, ma la vita spirituale continua e non compie un salto di qualità indistinto… sarà così come noi l’abbiamo vissuta e alimentata!

Lasciamoci guidare e giudicare dalla Parola!