La liturgia della Parola ci propone il famosissimo racconto del fariseo e del pubblicano che vanno a pregare al Tempio: il fariseo, come prescrive la Legge, entra nelle parti più interne del Tempio, grazie alla sua condotta irreprensibile nell’osservanze dei precetti; il pubblicano, come è previsto dalla Legge, sta fuori e invoca il perdono dei suoi peccati. Ci sta: è un rituale che aiuta a riconoscere che tipo di cammino si sta percorrendo in ordine alla volontà di Dio. Il problema è un altro: l’evangelista, nel descrivere la preghiera del fariseo, si esprime così «pregava così tra sé». Mentre il pubblicano «si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”». Una differenza abissale: il fariseo sembra rivolto a se stesso! Ha divinizzato la sua persona! Mentre il pubblicano si rivolge a Dio e si mette totalmente nelle sue mani! Dal punto di vista della realtà dei fatti è certamente più bravo il fariseo che si comporta in maniera ineccepibile… rispetto al pubblicano che froda e se ne approfitta di tutto a proprio vantaggio… Qui lo snodo riguarda il rapporto con Dio! Il giusto davanti a Dio è colui che non dimentica mai la propria condizione di peccato e da quella vive permanentemente in stato di conversione invocando la misericordia. Buona giornata