Nei racconti della risurrezione c’è sempre un prima e un dopo che mutano radicalmente: si parte da una condizione di tristezza, disperazione, incomprensione, cecità e si arriva ad una condizione di gioia, di entusiasmo, di condivisione, di annuncio. La risurrezione non è una realtà che va dimostrata ma che va testimoniata. Ma non è un compito, di per sè… Così leggiamo nella pericope dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus: «Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto». A volte, nella predicazione e nella catechesi diciamo che i cristiani devono annunciare Gesù: è giusto! Ma non può essere un dovere, una decisione volontaristica! L’annuncio scaturisce da una esperienza o non è credibile! Credo davvero che l’unico compito che ogni uomo può assumersi è quello di desiderare, cercare, contemplare… non so per quanto tempo, magari tutta la vita! Però, alla ricerca Gesù non manca di mostrare sprazzi di paradiso luminosissimi! Porto nel cuore una testimonianza di padre Rupnik quando, interrogato da un ufficiale dell’esercito ateo sulla insensatezza scientifica  della risurrezione, rispose che non aveva mai sentito il bisogno di indagare sulle prove: gli bastavano gli occhi risorti di suo papà e sua mamma per affermare che Gesù era vivo! È proprio così… Buona Pasqua