Lo zelo per la tua casa mi divorerà (Gv 2,13-22)

Oggi ricorre la festa della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano (lateranense), anche definita come la Cattedrale di Roma. Essa è la chiesa madre della diocesi di Roma ed è la prima delle quattro basiliche papali maggiori e la più antica e importante basilica d’Occidente. Sita sul colle del Celio, la basilica è la rappresentazione materiale della Santa Sede, che ha qui la sua residenza.

In corrispondenza con la festa di oggi vi è una lettura che mette in evidenza l’importanza del Tempio (di Gerusalemme) e mostra come l’interpretazione cristologica di questi versetti, trasforma un luogo di fede nella fede in una persona. Gesù, infatti, trovandosi al Tempio di fronte a Giudei che non onoravano i veri motivi per cui salire in questo luogo di preghiera, mise in crisi la loro struttura mentale e di fede, equiparando il Tempio di mattoni alla Sua persona. Gesù compie una trasformazione straordinaria perché converte lo sguardo di fede di quelle persone, e anche il nostro, verso il vero luogo da adorare: Lui e la sua Risurrezione.

Ricordiamoci che non siamo più legati ad uno spazio fisso, morto, ma ad una persona, viva, che ci rende vivi al presente. Buona giornata di festa.

PS: Ieri il sito Internet della parrocchia è rimasto off-line tutto il giorno per tecnicismi: ce ne scusiamo!

Perdonare ci rende nuovi (Lc 17,1-6)

Il vangelo di oggi tratta diversi temi e in particolare parla della correzione fraterna. Non è sempre facile correggersi a vicenda, forse perché si ha paura di perdere la persona che si corregge, ma il Signore ci chiede di farlo sulla sua parola, anzi, per la Legge del vangelo Gesù ci chiede addirittura di “rimproverare” nostro fratello in Cristo. Per essere precisi il Signore dice: «Se tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Son pentito”, tu gli perdonerai».

In queste parole, l’altra parte della medaglia rispetto al rimprovero è il perdono: forse la fase più difficile. Perdonare è davvero complicato perché comporta un azzeramento di tutti quei sentimenti che l’altro provoca in noi con l’offesa o con un gesto che ci ha ferito. Si tratta in fondo di continuare a vivere, nonostante quelle ferite, anzi con quelle ferite.

Perdonare però è anche quell’atteggiamento che ci rende davvero nuovi, diversi. Ci riempiamo la bocca di perdono e poi facciamo fatica a lasciar passare anche le “piccole offese” recate alla nostra persona, proprio come fa il mondo. Forse la differenza grande rispetto al mondo è proprio questa: smetterla di ergersi giudici degli altri, condannando con sentenze anche pesanti, e lasciar fare a Dio, che del giudizio è il padrone. Buona giornata 😊.

Un’esistenza nuova (Lc 20,27-38)

L’episodio evangelico (Le 20,27-38) mette in scena l’incontro di Gesù con un gruppo di sadducei, coloro che rifiutavano la risurrezione dai morti. Lo scopo della loro domanda è di mettere in imbarazzo Gesù. Con un esempio concreto, cercano di mostrare che l’idea della risurrezione è ridicola ed è estranea alla Scrittura, e cercano di dimostrarlo attraverso un esempio ricavato dalla legge di Mosè (cf. Dt 25,5-10).

Nella sua risposta Gesù cita sorprendentemente Es 3,6, che è un testo su Dio e non sulla risurrezione. Gesù conduce il discorso alla radice, cioè alla rivelazione del Dio vivente e alla sua fedeltà: se Dio ama l’uomo, non può abbandonarlo in potere della morte.

Ma la risposta di Gesù polemizza anche con quei farisei, che concepivano la risurrezione in termini materiali, prestandosi in tal modo all’ironia degli spiriti più liberali, ironia di cui il racconto evangelico offre un ottimo esempio: una donna ebbe sette mariti, nella risurrezione di chi sarà moglie? Gesù afferma che la vita dei morti sfugge agli schemi di questo mondo presente: è una vita diversa perché divina ed eterna; verrebbe da rassomigliarla a quella degli angeli (cf. v. 36).

Si può aggiungere un ultimo, importante aspetto. Il Vangelo di Luca si rivolge anche a destinatari provenienti dal mondo ellenistico, che non accettavano la risurrezione del corpo: il corpo è la prigione dello

spirito e la salvezza consiste, appunto, nel liberarsene. Il pensiero greco è fondamentalmente dualista, e parla volentieri di «immortalità», ma non di risurrezione. Di fronte a questa mentalità l’evangelista si preoccupa di spiegare che la risurrezione non è un prolungamento dell’esistenza presente o la rianimazione di un cadavere, ma un salto qualitativo. Un’esistenza nuova. (Tratto da don Bruno Maggioni)

Come vuoi che ti chiamiamo? (Lc 16,9-15)

Nel vangelo di oggi, che prosegue quello ascoltato ieri, poniamo l’accento sulla frase riassuntiva «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». Ciò che è interessante non riguarda solamente il fatto dell’essere indivisi, cioè di scegliere da che parte stare, con Dio o con il denaro, ma che sia necessario avere un padrone.

La novità di questa lettura è che a qualcuno bisogna sottomettersi, da qualcuno occorre lasciarsi espropriare, è necessario avere almeno un padrone, e non possiamo in alcun modo riporre tutte le nostre speranze in noi stessi. È interessante perché facendo il pari con il pensiero odierno dell’uomo su sé stesso, incontriamo una mentalità che è esattamente l’opposto.

Ciò che ci viene proposto oggi dalla mentalità corrente è proprio di confidare solo in noi stessi e di non dipendere da nessuno, ma si dimentica, e il racconto di Luca ce lo ricorda, che puntare su di sé non è la scelta migliore, perché c’è Qualcuno che conosce i nostri cuori meglio di noi stessi. C’è Qualcuno che è in grado di dare una direzione alla nostra vita che è quella per cui siamo stati pensati: quella per cui siamo stati creati. Peccato che uno dei grossi problemi che l’uomo di oggi sente, stia proprio qui: il rifiuto di venire da altri, l’impossibilità di farsi da sé.

Chiudo con un fatto che mi è accaduto. Ero in fila, in un supermercato, per un cambio merce che avevo sbagliato a prendere, e il nome del mio biglietto, quello che determina il tuo turno, non era il solito A26, B76, N4, insomma quelli che trovi alle poste o all’ASL, ma era “Christian”, perché per prenderlo ho dovuto rispondere alla domanda: “Come vuoi che ti chiamiamo?”. Domanda interessante, posta bene.

Imparare da chi si disprezza (Lc 16,1-8)

Perché sceglie un disonesto per trasmetterci una buona notizia? Per trasmetterci il vangelo? Perché quest’uomo, al di là della disonestà, che a ben vedere non viene lodata, insegna ad avere una considerazione alta della Salvezza eterna, ne indica una strada percorribile… da tutti, istruisce e ci istruisce sulla virtù della prudenza.

L’amministratore disonesto ha una considerazione alta della Salvezza eterna, cioè di quella possibilità per la quale ci troveremo lì, salvati, di fronte a Dio, con tutta la nostra vita, la nostra storia, con tutte le nostre fragilità e le fatiche; ci troveremo lì, così come siamo, nella Verità. L’amministratore ha una considerazione alta di quel momento lì.

E l’atteggiamento di quest’uomo è simbolico ed è propedeutico a comprendere qualcosa di più di una vita che è più ampia di quella che vediamo noi con i nostri occhi, poiché questa vita è già prima e sarà anche dopo la vita terrena.

Infatti, l’amministratore per parlarci delle realtà future e della Salvezza, usa una simbolica, e si preoccupa – oltre che del vissuto presente – anche e soprattutto del “dopo”, della “fine”, dell’”eternità”. Quest’uomo non punta solo all’immediato, per riempirsi la pancia, come spesso facciamo noi, ma guarda soprattutto alla resa dei conti, perché sa che alla fine rimarrà per strada, e lì, in strada, povero e bisognoso – come ogni uomo che si stacca da Dio – verrà giudicato.

E allora fa qualcosa, si muove, si dà da fare e cerca di guadagnarsi la Salvezza, che poi è soprattutto dono di Grazia divina, e lo fa come può. Lui lo fa con la ricchezza disonesta ed è per questo che viene lodato.

La ricchezza disonesta è infatti il disprezzo del possesso, di ogni forma di possesso, anche quello onestamente guadagnato. La ricchezza disonesta è quel sano distacco dall’eccessiva fiducia nei beni di questo mondo. La ricchezza disonesta è quell’atteggiamento che ci dice che in fondo la Salvezza vale più di ogni cosa. Buona giornata.