Essere se stessi (Lc 13,22-30)

“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perchè molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”. È con questa frase che Gesù risponde ad una domanda che un tale gli pone. Egli chiede se a salvarsi saranno in pochi o in molti e il Signore risponde così: la porta per la Salvezza eterna è stretta. E aggiunge che quando qualcuno sarà rimasto fuori e busserà alla porta il padrone risponderà: “Non so di dove sei”.

Queste espressioni aprono ad una riflessione profonda sulla Salvezza della nostra vita e ci fanno interrogare sulla nostra condotta. Soprattutto la seconda considerazione fa sembrare che il Signore non voglia riconoscere persone che in realtà gli sono sempre state accanto, ma il significato di tale espressione non è quello.

Il Signore non ci riconosce quando non vogliamo farci riconoscere da Lui, quando anzichè essere noi stessi, per paura, facciamo i diversi e indossiamo delle maschere, nascondendo il nostro volto. Del Signore non dobbiamo aver paura perchè Egli preferisce guardarci negli occhi e amarci e perdonarci per come siamo davvero, piuttosto che vedere una finzione, per poi dire: io non so di dove sei, non so chi tu sia. Una buona giornata a tutti.

Le piccole morti quotidiane (Lc 13,18-21)

Nelle poche righe di questo vangelo il Signore utilizza ben due immagini per descrivere il Regno di Dio. Sappiamo bene che le immagini hanno un’efficacia grande rispetto alle definizini o ai concetti, e illustrano più ampiamente quello che uno vuole dire, perchè la loro ricchezza è grande.

Nel nostro caso le figure che Gesù utilizza sono quelle del granello di senape e del lievito. In entrambi i casi si parla di realtà piccole che però, una volta mescolate con altro e lavorate, fanno crescere tutto ciò che gli sta intorno. Il seme si mischia con la terra e dalle sue potenzialità nasce un albero enorme. Il lievito viene impastato e lavorato e anche se è una quantità minima rispetto al resto, favorisce la crescita del tutto.

Così anche il Regno di Dio è una realtà piccola, non appariscente, che non si mostra così facilmente, e che sembra quasi inutile, perchè muore nel resto, ma senza di essa non c’è vita. Il regno di Dio è certamente nei gesti semplici che possiamo compiere, che richiedono la nostra morte, ovvero la rinuncia a noi stessi. Il Regno di Dio è in quelle azioni quotidiane, intrise dello Spirito di Dio, che rendono grande e accogliente ciò che ci circonda. Una buona giornata 🙂

Solo per cercare una sicurezza (Lc 13,10-17)

Nel vangelo di oggi Gesù, ancora una volta, sottolinea l’ipocrisia dei suoi avversari e fa notare quanto siano attaccati agli idoli, piuttosto che alle persone.

Nella sinagoga in cui il Signore Gesù stava insegnando, vi era una donna malata, e il maestro – in giorno di sabato – operò per lei una guarigione. Si sa che il sabato per gli ebrei è un giorno sacro, intoccabile, nel quale non si lavora, perchè è il giorno della festa, dedicato interamente a Dio, e Gesù avendo “lavorato” durante quel giorno, fu implicitamente rimproverato e anzi furono rimproverati a causa Sua tutti quei poveretti che venivano a cercar la salute in quel giorno della settimana.

A questo punto Gesù replicò contro il capo della sinagoga e contro coloro che mettevano il sabato davanti a tutto, anche alle malattie e alle disgrazie degli uomini. Il Signore, con questo suo rimprovero, mise e mette l’accento sull’idolatria, ovvero su quell’attaccamento morboso alle cose o alle persone, tanto forte da non farci vedere più nulla di ciò che ci sta accanto, solo per cercare una sicurezza effimera che ci tenga in vita.

Buona giornata e buona settimana.

 

Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.

Prima di addentrarci nel messaggio che il Signore ci vuole consegnare con questa parabola, è bene riportare alla memoria chi fossero i farisei e i pubblicani. I farisei erano gli aderenti ad una setta che predominò nella vita religiosa e civile giudaica negli ultimi tempi precristiani e al principio dell’età cristiana. Si distinguevano da Gesù nell’insegnamento, per un accentuato rigorismo etico e per uno scrupoloso formalismo nell’osservanza della legge e della tradizione mosaica. I pubblicani invece, nel mondo romano, erano gli appaltatori delle imposte, che pagavano allo stato un canone come prodotto di una tassa che poi esigevano per proprio conto dal popolo ebraico. Va da sé che il fariseo era visto dal popolo come giusto, mentre il pubblicano come peccatore doppiogiochista. La parabola che oggi ci viene proposta e che si rivolge a tutti coloro che “hanno l’intima presunzione di essere giusti”, parla proprio di queste due categorie di persone e mette chiarezza su come ragiona Dio e su come invece pensa l’uomo. Entrambi essendo ebrei salgono al Tempio a pregare ma si rivolgono a Dio in modo differente, sia nell’atteggiamento esteriore, del corpo, sia in quello interiore, dell’anima.

Il fariseo già da come si presenta di fronte a Dio è un esaltato, o come direbbe don Bruno Maggioni: «l’è un sgunfiún». Egli ha la presunzione di rivolgersi al Creatore mettendo al centro se stesso, dicendo in modo sottinteso e sottile: «Io non sono come, Io digiuno, Io pago, Io sono giusto perché sto nella legge». In poche parole egli si giustifica da sé.

Il pubblicano invece è un poveraccio consapevole delle sue colpe e pronto anche a ricevere un castigo da Dio pur di avere il Suo perdono. Egli si batte il petto, come a scuotersi l’interno, e dice: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Il suo centro non è se stesso, ma Dio, un Altro, un tu. In poche parole egli si fa giustificare perché sa di non essere dio in terra.

Gesù insegna che questi verrà giustificato, mentre il primo no, “perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. Buona domenica.

La pazienza del contadino (Lc 13,1-9)

Oggi Gesù sfata un modo di pensare che correva nelle menti dei suoi contemporanei e che è diffuso anche ai nostri tempi: quello che alle azioni cattive, ai peccati, corrisponda una punizione divina.

Il Signore, portando gli esempi concreti di due fatti, uno accaduto presso la corte di Pilato, che aveva ucciso alcuni Galilei, e l’altro presso la torre di Sìloe, che era crollata su diciotto persone, smentisce queste credenze domandando ai presenti: credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte? Oppure domanda: credete che quelle diciotto persone fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? La Sua risposta è no! Infatti Gesù chiede ai Suoi interlocutori di convertirsi, per non perire come gli altri.

Il senso di questo intervento, arricchito anche dal racconto della parabola del fico sterile, è che ciascuno di noi ha bisogno di cambiare per plasmare il proprio cuore a quello di Cristo, e a chiunque deve essere lasciato il giusto tempo per potersi convertire. Detto in altro modo: il Signore ha molta pazienza e attende sempre una nostra conversione a Lui, prendendosi cura della nostra vita, come fa il contadino con i suoi campi. Buona giornata.