Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo

Origini. Consideriamo probabile la presenza di una parrocchiale con dedicazione a Santa Maria sin dal XIV secolo. A tale edificio si sarebbe sostituita in senso fisico, e cioè occupandone lo spazio, la nuova parrocchiale eretta in un periodo imprecisato ma ad ogni modo precedente l’ingresso di Paolo dè Stefanetti (1571); ed osiamo pensare che i primi progetti per l’edificazione fossero stati concepiti nel tempo in cui Tommaso de Verga fu sacerdote (1517- floruit 1519) tra i rovellaschesi.

La pianta. Perché un aspetto risulta più che mai chiaro nella “lettura” della pianta di questo edificio: la chiesa aveva orientamento da sud verso nord e non già da ovest verso est, come invece poté trovarla Paolo dè Stefanetti. Essendo quella di collocare l’abside ad est una disposizione-norma uscita dal Concilio di Trento, dobbiamo pensare che gli interventi di riedificazione e di ampliamento furono davvero notevoli tra il 1567 ed il 1571: come esito si ebbe un edificio trinavale, sebbene l’odierna configurazione sia testimone di interventi massicci compiuti tanto nel 1712 quanto intorno al 1849-1851.

Le dedicazioni. Secondo aspetto, quello del santorale. La scansione per epoche offre evidenze di questo tenore: XIV secolo, probabile dedicazione a Santa Maria; 1571, dedicazione a Santa Maria e San Pietro; 1611, dedicazione forse ad entrambi ma con rilevazione effettuale per il solo San Pietro: nel 1850-1851, conclusisi gli ultimi lavori di ampliamento, dai documenti risulta infine una ridedicazione ai Santi Pietro e Paolo.

La torre campanaria. Terzo problema, quello della torre campanaria, a proposito della quale molti hanno ipotizzato una costruzione tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Luigi Cattaneo, che per la parrocchiale impegna da anni un’encomiabile opera volontaria, ha offerto di recente all’estensore di queste note i risultati di alcune sue verifiche sul campo, e di ciò lo si ringrazia; ebbene, su tutti i riscontri spicca il ritrovamento di un graffito con l’indicazione «1600», per quanto la cifra «2» sia stata quasi del tutto erosa dall’azione di sfregamento di una corda delle campane. Il graffito fu lasciato probabilmente da un muratore o dal capomastro sulla parete interna della torre e ad altezza ragguardevole; volendosi escludere a priori l’ipotesi di un “falso storico” confezionato in epoche successive; benché il XVII secolo sia ai nostri occhi l’epoca delle millanterie e dei trucchi dal fiato corto, dobbiamo a questo punto riconoscere l’esistenza in quel momento specifico di un corpo di fabbrica già sufficientemente slanciato, trovandosi in effetti il graffito al cosiddetto “punto di elevazione”, e cioè al livello del quadrante dell’orologio.

La canonica. Sapendosi già dei primi sacramenti amministrati in parrocchia («Venerdì il 10 agosto 1571 ho battezzato uno putto figliolo di Giovanna Maria fu … otto di nome Bernardino, compare Giò Maria f. de mf Andrea Grecho, comare Tomasina de Chierici»), il quarto punto in discussione non può che riguardare la canonica. Rovellasca ebbe, secondo le esigenze dei tempi, fino a 3 o forse addirittura 4 sacerdoti impegnati nella cura delle anime: cosa che non deve meravigliare, essendovi nel XVII secolo ed ancora in quello seguente la necessità di portare il messaggio evangelico da un luogo all’altro, quasi andando a sollecitare la partecipazione di uomini e donne alla vita della comunità. La canonica, di certo già edificata nel 1571, venne pertanto più volte ampliata e modificata nella struttura, con frequenti spostamenti per gli arredi sacri e per i mobili che in effetti transitarono spesso da un magazzino all’altro. Una soluzione definitiva venne presa nel 1809, con l’abbattimento della struttura – che era prospiciente l’odierna sede stradale, e forse addirittura di essa sede occupava una parte – e con la sua ricostruzione alcuni metri più indietro. Così la vediamo oggi, per quanto sia vero il fatto che quasi tutti i parroci venuti dopo Santo Ghizzoni apportarono migliorie e modifiche: interventi di una certa consistenza furono in particolare portati a termine nel 1937, auspice il sacerdote Lorenzo Moia, e consistettero in lavori di decorazione all’interno della chiesa, sotto la direzione di Giacomo Albertella.

L’ampliamento. A titolo di quinto aspetto da valutarsi, apriamo a questo punto una parentesi per dire che Giacomo Albertella si attenne al carattere architettonico neoclassico che alla chiesa era stato conferito con i lavori compiuti a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo precedente (1849-1851), quando i bisogni della popolazione – cresciuta di 400 anime e forse di più nel solo periodo tra il 1833 ed il 1845: in un documento risalente al 1843 venne lamentata «l’angustia degli spazi» – avevano suggerito l’ampliamento. Giacomo Albertella ebbe il merito di mantenere i provati e collaudati sistemi neoclassici anche per quanto concerne l’uso della tecnica ad affresco per l’intera opera e realizzò, al pari di tutta la decorazione pittorica, anche le vetrate istoriate, fondendo in questo modo sotto la medesima intonazione tutto quanto avesse funzioni di decorazione sacra. L’ultimo intervento rilevante appartiene alla cronaca: nel giugno 1970 venne collocata sui cardini la porta centrale, donata dai familiari del defunto conte Emilio Cattaneo ed opera che non può non colpire tanto per la sua mole imponente quanto per la validità del lavoro di scultura realizzato. Creando una serie di figure a tutto tondo ed intercalandole con pannelli in bassorilievo, lo scultore Paolo Borghi di Malnate tradusse difatti in opera visibile le scene salienti delle vite parallele degli apostoli Pietro e Paolo, patroni della parrocchiale.

E veniamo, in questa sorta di visita turistica a metà tra passato e presente, al sesto punto, ossia alla scoperta delle “presenze” all’interno dell’edificio. In termini sommari diremo che:

a) l’altare maggiore, in marmo di Carrara, fu consegnato alla parrocchia nel 1834 e venne consacrato dal vescovo Carlo Romano. Con ogni probabilità, però, il primo altare fu quello che oggi si trova a sinistra rispetto all’altare maggiore, e cioè quello dedicato al “Sacro cuore di Gesù”;

b) i non pochi stendardi tuttora visibili appartengono ad epoche differenti tra il 1700 ed il 1900. Uno di essi si distacca tuttavia in modo notevole: il drappo, che su un lato reca le immagini di Santa Marta e della Madonna con il bambino mentre sull’altro accoglie una raffigurazione del Santissimo Sacramento, è di foggia seicentesca e probabilmente giunse già a quel tempo dall’oratorio pubblico dedicato a Santa Marta. A portarlo – ma non vi sono elementi comprovanti tale tesi – sarebbero stati gli stessi membri della Confraternita di Santa Marta, in vista di un passibile abbandono del loro oratorio;

c) l’affresco sulla navata destra può essere datato tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del secolo successivo.: non è purtroppo stato possibile risalire al nome del committente;

d) le grandi tele che si trovano ad altezza transetto, e rispettivamente a destra ed a sinistra, furono collocate lì nel 1881 o immediatamente dopo. Si trattò del dono alla comunità fatto da un nobile che nel 1848, dopo i moti che a Milano culminarono nelle 5 giornate, fuggì dalla città e venne a riparare in Rovellasca, contando sull’amicizia e sulla comunanza di ideali con l’intera famiglia Crivelli. I Crivelli diedero per l’ennesima volta prova di intelligenza e di sensibilità: non solo offrirono un tetto, ma nel momento in cui i gendarmi con le divise del Regno Lombardo-Veneto vennero a battere la campagna provvidero ad accordarsi con il sacerdote Giuseppe Cattaneo per far ospitare nella canonica l’amico fuggiasco.

Massimo Soncini in “Così era Rovellasca”, edito dall’Amministrazione comunale nel 1998

Alla scoperta della nostra Chiesa parrocchiale

Nel pensare comune l’immagine e il ricordo di Rovellasca sono associati al suo parco, al Burghé. Il centro del paese è lì con i suoi pini e viali di platani, le aiuole, la vasca con la fontana, le scuole, il pozzo di S. Francesco e la chiesa di Santa Marta.

Rovellasca sfugge alla regola che identifica il centro del paese con la Chiesa Parrocchiale e la relativa piazza. Da noi la chiesa, pur imponente e affiancata da una massiccia torre campanaria, rimane, come dire, defilata, priva come è di un piazzale che ne sottolinei la presenza, che inviti alla sosta e alla socializzazione.

Ne consegue che tutto il complesso non richiami più di tanto l’attenzione: un’occhiata ai portali, un’altra all’orologio della torre e via. Qualcuno entra per una preghiera. Quasi sicuramente solo una piccola minoranza si attarda ad osservare le “storie” scolpite sui portali o ricorda le quattro statue che dalla facciata scrutano, sorvegliano e proteggono il frenetico traffico sottostante.

Vale la pena invece osservare con occhi diversi questa nostra chiesa, imparare a conoscerla per apprezzarla e, perché no, entrare qualche volta di più, non fosse altro che per ammirarne gli affreschi.

Le origini sono un po’ confuse e poco documentate. La data che si legge oggi sulla facciata (1650) non indica l’anno di costruzione: la chiesa venne infatti eretta nel secolo precedente; forse indica la fine di un importante intervento di ristrutturazione. I primi progetti, stando ad alcune fonti storiche, potrebbero risalire al 1517-1519. L’edificio negli anni successivi subì notevoli interventi di riedificazione e ampliamento che portarono, nel 1571, ad avere una costruzione trinavale dedicata a Santa Maria e San Pietro. La torre campanaria, a forma quadra in stile lombardo e molto simile al campanile di Santa Marta, potrebbe invece risalire al 1600, se si da credito ad una data incisa all’interno della torre, ma più realisticamente si deve pensare che fu costruita nei primi anni del 1800.

Sia la chiesa che la torre subirono, nel corso degli anni, diversi cambiamenti, che si possono grosso modo riassumere in quattro modifiche sostanziali.

La prima fu, a mio avviso, lo spostamento del cimitero, avvenuto per disposizione governativa, che sino ad allora era situato attorno all’edificio. La seconda modifica significativa fu negli anni 1849-1851, quando venne effettuato un ulteriore ampliamento a levante della chiesa. Al termine dei lavori, nel 1851, la chiesa viene dedicata ai santi Apostoli Pietro e Paolo.

Sempre in quegli anni, forse in occasione degli stessi lavori, la Fabbriceria si assicurò “il diritto di occupare una porzione del fondo, che si vende qualora si determini di ampliare il coro della stessa chiesa” (documento del 20 luglio 1849 – atto notarile di vendita redatto per conto dell’avvocato Martignoni di Milano proprietario del fondo). Questo diritto fu fatto valere dal parroco don Lorenzo Moia alla metà circa degli anni ‘20 quando fu effettuato il terzo intervento significativo: l’ampliamento dell’abside, il prolungamento delle navate, l’affrescatura delle volte e delle pareti e la realizzazione delle vetrate. In precedenza, nel 1925, sempre don Moia costruì l’attuale casa parrocchiale.

I lavori sopra citati, che furono ultimati alla fine degli anni ‘30 presentarono parecchie difficoltà, tanto è vero che nel corso della visita pastorale effettuata il 27 e 28 novembre 1928 il vescovo monsignor Luigi Pagani raccomanda “cautela nell’abbattimento dei pilastri presso la balaustra in modo da non lamentare guasti alle volte”.

Il quarto e ultimo intervento strutturale definitivo lo dobbiamo a don Giovanni Fascia. Fu effettuato a partire dal 1955 e si concluse verso la fine degli anni ‘60. Esternamente la chiesa assunse l’attuale aspetto con l’abbattimento del vecchio oratorio maschile e del vecchio cinema per dare visibilità alla casa parrocchiale e migliorare esteticamente la via sul fronte della chiesa. Sul lato settentrionale della stessa furono demolite le vecchie case per costruire l’oratorio femminile e il nuovo cinema-teatro.

Nel 1982, parroco don Luigi Corti, la facciata subì un definitivo restauro e assunse l’aspetto che possiamo ammirare ancora oggi. In stile neo-classico, sormontata da una croce poco visibile, è abbellita da quattro statue collocate in quattro nicchie. Le statue rappresentano i Santi Apostoli Pietro e Paolo, San Luigi Gonzaga e San Giuseppe. Sopra il portale principale è collocato un interessante bassorilievo in marmo pregiato rappresentante il Redentore. Purtroppo gli autori sono sconosciuti. Noti invece sono gli autori dei portali di bronzo che valorizzano la facciata.

Nel giugno 1970 fu collocata la porta centrale, opera dello scultore malnatese Paolo Borghi, rappresentante gli avvenimenti più significativi della vita degli apostoli Pietro e Paolo. Le due porte laterali, collocate nell’agosto del 2000, sono opera dello scultore sondriese Roberto Bricalli e rappresentano due momenti della vita di Gesù. Sulla porta di sinistra Gesù invia gli apostoli per il mondo ad annunciare il messaggio; sull’altra viene raffigurato Gesù che incontra e consola i sofferenti. Opere molto belle, intense, di sicuro valore artistico che meritano molto di più di uno sguardo veloce e distratto. Le tre porte sono donazioni di famiglie rovellaschesi.

Entriamo ora nella chiesa. Camminiamo su uno splendido pavimento marmoreo con passatoia centrale in intarsio di marmi pregiati installato nel 1964 da don Fasola. Rivestite di marmo sono anche le colonne che disegnano le tre navate, mentre pure di marmo sono tutte le balaustre e il pavimento del presbitero. Quest’ultimo è altresì abbellito da artistici mosaici con simboli eucaristici. Come sempre accade quando si entra in una chiesa, lo sguardo sale verso l’alto e non si può fare a meno di ammirare gli affreschi che decorano volte e pareti, né possiamo ignorare le vetrate laterali, i cui colori sono esaltati dalla luce del sole.

Sia le pitture che i disegni delle vetrate sono opera del pittore Mario Albertella, artista milanese autore di lavori pittorici in molte chiese di Milano, Lodi e Caravaggio. Qui a Rovellasca lavorò dal 1934 al 1936 utilizzando la tecnica dell’affresco.

Nell’abside, sopra l’altare maggiore, si scorge “Il trionfo della Croce” ispirato ai versetti del Vangelo di San Matteo: al centro l’apparizione della Croce portata dagli Angeli, ai lati gli Angeli squillano l’ora della resurrezione, mentre nella parte inferiore sono raffigurati i popoli che convergono da ogni parte del mondo. La volta sopra l’altare maggiore raffigura “Agnello Immacolato contornato da Angeli”, mentre nelle volte della crociera principale ammiriamo lo svolgimento della Gloria della Santissima Trinità.

Le volte del transetto, che è la parte più larga della chiesa tra la balaustra dell’altare maggiore e l’inizio delle navate, rappresentano il martirio di San Pietro e di San Paolo. Le quattro lunette illustrano scene dell’antico testamento: la creazione del mondo, la creazione dell’uomo, il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre.

Sempre a testa in su spostiamoci nella navata centrale. Qui sono rappresentati tre episodi storico-simbolici: “La visione di Costantino”, “S. Elena che rinviene la Croce”, “Re Eraclio che porta la Croce al Calvario”. Ai lati della finestra centrale, sopra la porta principale sono raffigurati Re Davide e il profeta Isaia. La luce del sole accende i colori delle figure che riempiono le vetrate. Ammiriamo così lungo la navata centrale alcuni Apostoli, mentre alle estremità del transetto osserviamo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e l’Ultima Cena.

Ai lati del coro, dietro l’altare maggiore, San Pietro da una parte e San. Paolo dall’altra sorvegliano il presbitero. Lungo le pareti del transetto, dietro i due confessionali possiamo apprezzare, sempre dello stesso autore, due affreschi rappresentanti uno “La Natività” e l’altro, sulla parete opposta, “La Deposizione”.

Non ho competenza per giudicare la qualità degli affreschi del professor Albertella. Furono commissionati dalla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra e i critici di allora scrissero che l’artista “si attenne ad una decorazione intonata ai caratteri architettonci della chiesa e la tecnica usata, quella dell’affresco, non si scostò dai vecchi sistemi pure essendo trattata modernamente”. Il risultato dell’opera piacque molto e, a mio avviso, il trascorrere degli anni la valorizza sempre di più.

Proseguendo nella visita ad “occhi alzati” si nota la presenza di vari stendardi. Due appaiono evidenti in mezzo alla navata centrale, due sono in fondo alle navate laterali e altri due, protetti da teche di vetro, sono ai lati della porta centrale. Tutti questi stendardi rappresentano le “bandiere” delle varie associazioni e confraternite che operavano nella parrocchia e trovavano il loro momento di gloria nelle processioni e nelle grandi celebrazioni solenni. Guardiamoli con attenzione: sono vere e proprie opere d’arte dell’artigianato lombardo e appartengono ad epoche differenti, tra il 1700 e il 1900. Sono tutte ricamate a mano utilizzando materiali pregiati come seta, filamenti colorati e in oro: il risultato è davvero notevole. Motivo comune a quasi tutti gli stendardi è la rappresentazione del Santissimo Sacramento adorato e glorificato.

Un poco defilati appaiono invece i quadri esposti nella chiesa. Alcuni di loro sono addirittura praticamente invisibili, collocati come sono sopra la porta centrale, poco illuminati e troppo distanti per poter essere osservati.

Interessanti sono invece i due grandi quadri appesi nelle navate laterali ai lati del presbitero: rappresentano uno la predicazione di San Pietro e l’altro la predicazione di San Paolo. Sono opera del pittore Consonni (fine 1800). In un inventario di inizio 1900 vengono definiti opere di “pittura moderna” e lascio agli esperti un giudizio sul loro valore artistico.

Spostiamo ora l’attenzione lungo le navate: contiamo cinque altari laterali mentre altri due sono situati nelle volte ai lati del presbiterio. Tutti gli altari sono di marmo e nel corso degli anni hanno subito parecchie modifiche. Più che un valore artistico posseggono un valore di tradizioni e testimoniano una devozione e una fede che il trascorrere del tempo non ha intaccato. Il più antico è l’altare di San Antonio Abate; il più recente è l’altare di Santa Rita, sorto là dove una volta si accedeva alla torre campanaria.

Particolare devozione accompagna l’urna che raccoglie le ossa del martire soldato romano San Vittore. La teca di cristallo è ben visibile sotto l’altare della navata sinistra che ospita anche la statua della Madonna di Caravaggio, opera quest’ultima dello scultore Onorato Ferrari di Ponte di Legno. La statua fu incoronata nel 1946 con una solenne cerimonia. Ben più antica è la devozione che accompagna la reliquia di San Vittore. Le ossa del martire giunsero a Rovellasca nel lontano 1674, dono di un frate cappuccino rovellaschese, padre Giovanni Battista guardiano del convento di Mendrisio, che le ricevette in dono da un “pezzo grosso” della Curia romana, Giuseppe Eusanio, Prefetto dei Sacri Palazzi e assistente al soglio pontificio (papa Clemente X). È sicuramente la reliquia più significativa presente nella parrocchia e a questo santo sono dedicate tutte le opere e le attività che riguardano i giovani (dall’Oratorio alla Filodrammatica alla defunta ma indimenticabile squadra di calcio della Victor Bianchi).

Molto frequentato dai fedeli è l’altare della Beata Vergine delle Grazie che si trova nella navata destra. Sopra l’altare, incassato nel muro, si ammira un affresco rappresentante la Madonna con il Bambino e Sant’Antonio Abate. Purtroppo di questa opera non si ha notizia né dell’autore né dell’epoca di realizzazione.

Proseguendo nella visita è obbligo soffermarsi di fronte al Battistero. L’affresco che decora la parete, rappresentante il Battesimo di Gesù, è anch’esso opera del pittore Albertella, mentre da ammirare è il tempietto in legno artisticamente incesellato. Anche qui purtroppo l’abile cesellatore è sconosciuto.

E finalmente giunge il momento di soffermarsi di fronte al cuore della chiesa: il presbiterio con l’altare maggiore e il tempietto del Crocefisso. Come già accennato, questa area venne allargata e valorizzata con i lavori effettuati da don Moia attorno al 1930 e con la posa del pavimento marmoreo. L’altare maggiore, eretto nel 1834, in marmo di Carrara è artisticamente lavorato e la porticina del tabernacolo è un prezioso bassorilievo rappresentante Elia e l’Angelo che gli porge il pane.

Molto più recente, dovuto alla riforma del 1972 che prevede il celebrante di fronte all’assemblea, è l’altare attualmente utilizzato, le cui opere marmoree e il rilievo in rame-sbalzato del fondale, realizzato dallo scultore Paolo Borghi, si ricollegano allo stile del preesistente.

Da ammirare sono gli splendidi candelabri, opera dello scultore Pietro Tavani, che completano e impreziosiscono la struttura dell’altare, mentre sopra lo stesso si erge, al centro, un tempietto a colonne dove è custodita e si offre alla adorazione dei fedeli l’autentico simbolo del nostro paese: la statua del Santo Crocefisso.

Questa adorazione si esplicita ai massimi livelli durante il triduo del Carnevale, giorni in cui la statua viene esposta al tradizionale bacio dei fedeli e condotta in solenne processione per le strade del paese: un triduo antichissimo, molto sentito e partecipato da tutta la popolazione. Non si sa con precisione come e perché il Crocefisso sia arrivato nel nostro paese: sicuramente prima che la attuale chiesa fosse costruita. Che si tratti di un’opera d’arte di indubbio valore è certo: immediato il messaggio di sofferenza, amore e consolazione che emanano il volto e la figura del Cristo.

Alcune fonti attribuiscono l’opera addirittura a Taddeo di Bartolo, artista toscano vissuto dal 1362 al 1432 (la pinacoteca di Volterra dedica tre sale a questo artista). Se fosse vera questa attribuzione, rimane da spiegare come tale scultura sia potuta arrivare a Rovellasca.

Una tradizione vuole che il Crocefisso sia giunto da noi insieme alle poche proprietà che alcuni lucchesi, costretti a lasciare la loro città per ragioni politiche, poterono trasportare a Rovellasca dove si stabilirono assumendo con il tempo il cognome, affibbiato loro originariamente dai nativi, “dèscacciati”. Ma queste sono solo supposizioni. L’unico dato reale è la presenza del Crocefisso e di questo siamo orgogliosi.

Proseguendo nella visita si scorge, dietro l’altare maggiore, la struttura simmetrica delle canne dell’organo. Lo strumento fu inaugurato nel 1956 con un doppio concerto dal maestro Luigi Picchi che in una nota autografata scrive: “L’entusiasmo suscitato nel foltissimo pubblico dalle esecuzioni di solo organo e di quelle corali e solistiche attestano la bontà e l’importanza artistica della nuova opera della ditta Mascioni di Cuvio, che si può definire perfetta. Per il sottoscritto fu un vero godimento e, mentre non ha che parole di plauso per l’esimia casa costruttrice, ringrazia il m.r. Prevosto don Giovanni Fasola per l’onore procurategli, invitandolo quale collaudatore e concertista”.

Termina qui la visita alla nostra Chiesa Parrocchiale, con le musiche dell’organo che sottolineano ed esaltano la spiritualità del luogo e con lo sguardo rivolto alle pregevoli bronzee formelle della via Crucis, appese alle colonne e alle pareti delle navate, forgiate dall’ispirazione artistica del già citato scultore Pietro Tavani.

Una visita per forza di cose incompleta e superficiale. Sono stati tralasciati molti elementi e molti particolari ma spero comunque sia stata utile e contribuisca a farci osservare con occhi diversi quello che sicuramente è un patrimonio non solo religioso della nostra comunità.

Patrimonio anche per chi in quel tempio entra con disagio e poche volte nella propria vita, anche se quelle volte lasciano tracce indelebili nel nostro percorso.

Enzo Cattaneo in “Rovellasca Notizie”, aprile 2005