L’offerta che compie e realizza la vita non è definita dalla grandezza o dalla visibilità del dono ma dalla condizione di totalità e di coinvolgimento con la quale si esprime. Per quale motivo? Perché si evidenzia che la propria fiducia è riposta tutta in Dio! Si riconosce che tutto ciò che abbiamo non ci appartiene di diritto o per principio: tutto abbiamo ricevuto e solo donando non cadiamo nella idolatria dell’avere! L’offerta di noi stessi è la cosa più difficile che siamo chiamati a fare perché è il vero strappo con il peccato delle origini! Tutto è scaturito dalla preoccupazione di conservarsi la vita mangiando il frutto dell’albero, espressione del dono di Dio! Prendere il frutto, farlo proprio, come se fosse una conquista personale, è il pervertimento radicale della sua più intima verità! Se tutto è dono, se tutto ciò che abbiamo tra le mani è dono di Dio, è inutile che iniziamo a pensare che sia nostro merito e, quindi, nostra proprietà: così come lo riceviamo è giusto che lo doniamo! E fintanto che riguarda le cose, con un po’ di abnegazione, riusciamo anche ad essere generosi… ci ritorna anche in immagine! Ma nel momento in cui dobbiamo dare la vita, metterla a repentaglio, perderla per amore… l’istinto al mettersi in sicurezza viene fuori come un felino! Il rito offertoriale che celebriamo nell’eucaristia è memoria permanente di questa verità, perché non ce ne dimentichiamo… Buona domenica