«Chi ha chiuso tra due porte il mare… dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?». Bella questa immagine che ascoltiamo oggi dal Libro di Giobbe: narra chiaramente come l’esperienza dell’avversità ha un limite, non ha un potere illimitato! Il Padre celeste non permette al maligno di contrastare la vita fino a rapirla: noi siamo suoi, nulla ci potrà strappare dal suo amore!
Lo stesso concetto è ribadito dal racconto della tempesta sedata nel Vangelo di Marco: «Minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”».
La barca della Chiesa è spesso e volentieri alle prese con i venti più avversi, sballottata dalle onde del male, ma non è questo il problema, sembra dire Gesù! Il problema non sono le difficoltà da affrontare ma la fede che manca… È un rimprovero pesantissimo quello di Gesù ai suoi discepoli: nel momento della prova non lo hanno cercato per contrastare i problemi nei quali si trovavano ma per salvarsi la pelle! La paura della propria sussistenza – e quindi del proprio io individuale – era in cima alle loro priorità!
C’è da fare un bel esame di coscienza per tutti noi discepoli: come preti, di fronte ai marosi dell’individualismo e del secolarismo, di fronte alle povertà economiche e sociali, di che cosa ci preoccupiamo? Di quanti ci seguono, di quanti frequentano, di quanti stanno dalla nostra parte? Come papà e mamme: di fronte ai figli che vivono alla giornata, di fronte a disagi emotivi e valoriali, di che cosa ci preoccupiamo? Se realizzano i nostri sogni, se rimangono legati a noi, se hanno una bella paga? Che posto ha Dio in noi? Quanto sentiamo che Lui ci basta? Quanto siamo gratuiti nelle nostre scelte? Quanto, invece, dipendiamo ancora dai nostri piccoli e meschini interessi?